la trasformazione digitale
La fatina antipatica.
“pensa se in questa azienda arrivasse la fatina azzurra e tac, risolvesse tutte queste grane con un colpetto di bacchetta magica…”
“Ci puoi scommettere che starebbe sul c. a tutti, dalla donna che pulisce i cessi ai fottuti top manager del decimo piano!”
Conversazione raccolta in una media impresa manifatturiera
La soluzione c’è ed è formidabile. Però…
Non a caso i venditori chiamano soluzioni questi sistemi di software e hardware.
Vuoi restare competitivo? vuoi opportunità di crescita? vuoi vendere di più on line?
vuoi un processo produttivo migliore, più efficiente, meno costoso?
vuoi espanderti verso nuovi mercati?
Abracadabra: se vuoi puoi!
Installa questi dispositivi, adotta questo software, usa questa procedura…
Davvero?
È formidabile potenzialmente
Sì, davvero.
Però fin dai tempi di Aristotele ci spiegano che una ghianda non è una quercia: può diventarlo potenzialmente: bellissima, enorme, solida.
Tra migliaia di ghiande, alcune diventano davvero alberi. Le altre diventano la casa di un baco o la cena di un cinghiale… apposta madre quercia ne genera migliaia, basta che ne germogli qualcuna per continuare tranquillamente la specie.
Ma tu non hai mille aziende, puoi giocarti una ghianda sola.
Eccoci, qui parliamo dell’humus, dell’acqua e del sole che trasformano il tuo “potenzialmente” in risultato.
Perché trasformarsi
La conversione digitale: qualcuno la fa “perché non si può non fare, se no resti tagliato fuori”.
Qualcun altro perché “con questi strumenti formidabili lavoreremo meglio e venderemo nel mercato che cambia”.
Traduciamo: nella prima vision la trasformazione digitale complica, nella seconda semplifica.
Nella PMI italiana siamo più o meno tutti spalmati tra i due estremi, ma (al netto dei bluff, del marketing e della fuffa pseudofuturistica) più spesso pendiamo verso la prima.
Sono due film con lo stesso inizio
Sapete già come andranno a finire.
La prima azienda farà più fatica della seconda, l’esito sarà più incerto e arriverà al nuovo assetto con un po’ di ritardo sui concorrenti; intanto la seconda sarà già allo step successivo.
Qualcuno dirà: ma la seconda rischia di più e a volte finisce male. Càpita, ma purtroppo chilometri di capannoni vuoti raccontano che succede più spesso a quelle del primo tipo.
Queste pagine servono a chi, pur cominciando il film con la vision del primo tipo, vuole arrivare al finale del secondo e per riuscirci chiama noi coach.
Se la vision è un freno a mano
Diamo per scontato che ha una vision anche chi non ce l’ha, nel senso che se ha un’idea del futuro che non è ambiziosa, che non stimola un gran che, oppure che pare poco realistica o retorica…
Non è una persona “senza vision”, anzi ce l’ha negativa: contagia e amplifica a tutti la sensazione di viaggiare col freno a mano tirato: tanta fatica e poco risultato.
Chi lascia la via vecchia per la nuova…
Però il futuro è un posto strano, se voglio andarci col mezzo giusto il freno a mano deve poter funzionare bene: ci sono delle paure immotivate ma altre sacrosante; ci sono difficoltà che sembrano enormi e poi si rivelano bazzecole, ma anche viceversa.
Ci sono delle incognite e delle costanti, come in tutte le equazioni; il problema è che le incognite inquietano e le costanti consolano.
Ecco il punto: quando si è giovani, forti, entusiasti succede il contrario, le incognite sfidano e le costanti annoiano.
Noi imprese italiane siamo state mediamente così dal dopoguerra fin verso il ‘90, quando avevamo il quarto PIL del mondo.
Ora abbiamo l’ottavo e continuiamo a scendere.
Un punto di PIL in meno per ogni 1% di invecchiamento medio
“L’invecchiamento della popolazione esercita una forte pressione su coloro che sono in età lavorativa a causa di questi costi per sostenere la crescente popolazione dipendente. In linea di massima un rallentamento dei tassi di crescita della popolazione e della forza lavoro si traduce all’incirca uno-a-uno in un calo simile della crescita del PIL”.
Lo afferma Ronald Lee, professore di demografia ed economia presso l’Università della California (UC), Berkeley in questa intervista
Per compensare questo declino occorre aumentare la produttività della popolazione in età lavorativa, ovviamente lo sguardo sulla metamorfosi digitale di cui parliamo riguarda esattamente questo. Però qui stiamo parlando non dell’obiettivo ma di come arrivarci.
L’età anagrafica dei vertici c’entra solo in parte
C’entra se mai l’età media dei livelli alti e medi, che rappresentano la memoria storica dell’azienda, quando sentono del disagio; è un disagio ricco di senso, è un disagio da evolvere generativamente, certo non da annichilire, rimuovere o ignorare.
Butteremmo il bambino con l’acqua sporca.
C’entra l’età media della nostra PMI nata nel dopoguerra e cresciuta in una stagione dove intraprendere era più facile, creativo e gratificante; il tasso di complessità era alto per quell’epoca, ma adesso si vede la differenza.
Vedete che non è il problema psicologico di qualche capo, è il problema politico-economico di tutto un Paese e in buona parte di un intero continente.
L’azienda lo sa già
L’azienda è un organismo che spesso sa cose che i vertici ignorano.
Chi si ricorda i primi computer, quegli scatoloni grigi che colonizzarono le scrivanie nelle segreterie e nelle contabilità?
Erano una minoranza, quelli entusiasti di non dovere più trascrivere a mano sui registri i risultati della Divisumma. Gli altri all’inizio si sentivano piuttosto stressati, obsoleti, insicuri. E anche più licenziabili ( tutti, sì: dalla donna che pulisce i cessi ai fottuti top manager del decimo piano come nella commedia di Broadway).
L’abbiamo imparato allora: il digitale si è infilato in ufficio facendo finta di essere solo un modo più svelto di scrivere e fare i conti, ma è diventato subito una cosa più assoluta e totale: un modo nuovo di pensare, organizzarci, memorizzare, comunicare e decidere.
Ha cambiato le gerarchie, i flussi, le logiche.
Ha fatto nascere e morire migliaia di aziende grandi e piccole.
Erano solo gli antipasti. Il piatto forte arriva ora, dopo che il Covid ha fatto da catalizzatore accelerando ulteriormente un processo già svelto.
Adesso robot, sensori, sistemi di monitoraggio, dispositivi di predittività e MES vari non sono solo innovazioni per migliorare l’efficienza e la produttività.
Fanno di più, ragionano e decidono al posto nostro. Vien da dire che “pensano” al posto nostro, ma non è esatto: stiamo scoprendo che pensare è molto più che un processo logico. Non spaventatevi perché è una liberazione.
Le domande di chi ci chiama
Diamo per scontato che ti abbiano consigliato sufficientemente bene, che la soluzione tecnica che stai adottando sia abbastanza giusta.
Vieni da noi perché ora hai la ghianda e ti serve la quercia, ovvero che l’automazione permetta alla fabbrica di lavorare in modo più spedito, veloce, senza troppi intoppi, gradito a tutti.
- Quando saprò che funziona davvero?
- Quali persone imparano a usarlo?
- Perché mi sembra così difficile da capire?
- Perché molti medi e alti livelli remano contro?
- Perché i dipendenti ne hanno paura?
- Quanto tempo dura la transizione? mica posso fermare la fabbrica!
- Chi comanderà, quando saremo in routine
- Tutto quello che so, diventerà obsoleto?
- Non rischiamo di snaturare la tradizione della ditta o l’immagine del brand?
- Cosa succede al mio potere, leadership, carisma… se non capisco i dettagli?
Che fare
Innanzitutto occorre “vedere il labirinto dall’alto”. Noi di solito dobbiamo fare alcune domande preliminari (è un protocollo di intervista) per fotografare lo stato dell’arte e intercettare i blocchi.
Poi cominciamo a formare chi si occuperà di facilitare il cambiamento digitale, degli agenti di cambiamento interno, che noi sappiamo formare e affiancare.
- Ci sono casi in cui è necessario qualche Digital Change Agent (DCA): si tratta di pochi dipendenti che assumono questo ruolo di facilitazione, motivazione, rimozione degli ostacoli (tecnici e psicologici) nello specifico dell’innovazione digitale
- In altri casi è preferibile un singolo agente che opera a lungo nel tempo e che dissemina nel tempo contenuti, metodiche e atteggiamenti
- in altri casi ancora è molto utile un CAT, cioè un team di agenti di cambiamento. A differenza dei DGA non è si occupa solo della parte digitale, è un organo di gestione complessivo che riguarda, col digitale, anche tutte le implicazioni complessive incluse quelle sulla parte tradizionale.
- È successo che funzionasse a cascata dall’alto del management verso il basso: qualche manager ce l’ha chiesto, noi lo abbiamo supportato e il processo ha funzionato. Ma di solito non è il sistema più facile, né il più efficace, né il più duraturo nel tempo, anche se effettivamente è stato più svelto e più pratico.
Qui ci sono alcune nostre proposte concrete di intervento.