gestire la crisi
Mancano solo le cavallette…
Se siete in Sardegna, non mancano più neanche le cavallette.
«Non pensate a un elefante!
Fate quello che vi pare ma non pensate a un elefante»
Non ho mai trovato uno studente che ci riesca.
George Lakoff, linguista statunitense
Se diciamo “non pensare alla crisi”, ovviamente, funziona come per l’elefante di Lakoff.
Certo, se a una persona immersa nei casini (magari ha i creditori che gli dormono sul pianerottolo) diciamo che il suo problema è tutto uno stato mentale, ci manda a quel paese.
Ma qui stiamo cercando le soluzioni.
La descrizione del problema è fondamentale: può scioglierne i nodi più difficili o invece lo può complicare enormemente.
La Sfiga colpisce a grappolo
Come uno tsunami che sbriciola navi, ponti, auto e case. Il calo di fatturato, il post-covid e il post-post covid, i costi crescenti delle materie prime, l’irreperibilità di certi pezzi e di certi materiali, il rallentamento della produzione, i clienti che spariscono (alcuni senza saldare), i concorrenti più competitivi sul prezzo, il marketing che non funziona più, il software che non gira, il softwerista che si è licenziato, in azienda sembrano tutti matti, la guerra, le alluvioni e non trovo più le pastiglie per il mal di testa.
Arrivano tutte insieme, è ovvio.
È una delle caratteristiche della Dea della Sfiga.
A lei siamo tutti inconsciamente devoti, perché la onoriamo e la chiamiamo inconsapevolmente. In queste pagine vedremo come allontanarla.
I problemi sono tanti e sono veri, ma il più grave di tutti è la spossatezza, che spesso ci porta per esaurimento a moltiplicarli e amplificarne gli effetti.
Il primo passo è scansare i falsi problemi, visto che quelli veri sono già più che abbastanza. Quelli veri vogliamo comprenderli.
Scusate il puntiglio: comprenderli, non affrontarli: usciamo dalla logica della guerra con la Sfiga: se accettiamo la sua logica, vince lei.
È una sfida ma non è una guerra.
Differenza tra incasinato, complicato e complesso
Fermati e guardati allo specchio.
Cos’è quest’onda di tutti i guai del mondo che arrivano sulle tue spalle?
Casino, complicazione e complessità sembrano sinonimi, ma nella tua testa sono cose totalmente diverse: decidono se ne uscirai più forte (ipotesi buona) , se sarai annientato (ipotesi cattiva) o se, ipotesi peggiore di tutte, starai nel purgatorio frustrante degli sforzi inutili sempre più a lungo.
È un gran casino.
Vedi uno tsunami e ci anneghi dentro, piccolo e impotente.
È troppo grosso: rinunci alla sfida, maledici gli dei, dai la colpa a qualcun altro e, insomma, non ci provi più di tanto; resterà vuoto un altro capannone. Però potrai sempre bere in un bar di Chissadove raccontando agli altri vecchietti che in Italia eri un grande imprenditore.
È una situazione complicata.
È un gran garbuglio difficile che provi a dipanare, trovando a ogni problema la sua soluzione così come hai sempre fatto.
Magari facendo correre un po’ di più la produzione, dando qualche benefit ai venditori, facendo qualche sconto in più ai grossisti, spendendo di più in marketing, no anzi, risparmiando in marketing perché non c’è budget, no anzi, sospendendo quel ramo di produzione perché va in perdita, no anzi togliendo i benefit ai venditori che tanto vendono sempre meno…
Insomma ti trovi costretto a navigare a vista con conti che non tornano per tirare avanti con soluzioni a-breve.
Ma è 15 anni che fai così e va sempre peggio: ne hai davvero le balle piene.
Sai che ci vuole una svolta vera e robusta e te lo ripeti, ma è come quel magnete sul frigorifero che sembra spiritoso ma è tristissimo “domani mi metto a dieta”.
È un sistema complesso.
Il più difficile da capire, il più facile da praticare.
Le parti del sistema sono collegate, dipendono reciprocamente l’una dall’altra: inter-dipendenza, armonia.
Tu stesso sei complesso da quando sei nato, perché sei vivente.
Vivi: ad esempio quando sorridi usi 36 muscoli, è un processo complesso, se cerchi di comandare il sorriso a ciascun muscoletto della faccia non ci riesci, al massimo ne usi una dozzina, non ti esce un sorriso vero, franco, che sprizza felicità anche con gli occhi.
Anche un bambino ci riesce benissimo e non è un attore che li ha allenati e li controlla.
Gestire un sorriso con gli schemi controllanti della complicazione sarebbe difficilissimo, gestirlo nella sua naturale complessità è così facile che neanche te ne accorgi, ma occorre avere dentro un pensiero felice, il sorriso è l’effetto visibile di molte concause molto complesse ma facili, ad esempio il sorriso di un’altra persona.
Già, dirai tu: belle parole, ma intanto io sono seduto sulla graticola.
Stiamo per parlare del cosa fare per gestire la crisi e per far tornare l’azienda in salute.
Prima però chiariamoci, perché potrai interpretare le nostre parole in due modi molto diversi.
In un’azienda, come nel tuo corpo, la salute è complessa.
Se sei malato (ad es. hai un forte mal di schiena) parlare della tua salute può avere due effetti.
Effetto 1
Ti fanno girare le balle tutti quelli che dicono “prova questa medicina che ha fatto tanto bene a mia suocera”, “dovresti provare con l’agopuntura cinese dell’orecchio” e anche “è colpa tua che fai poco sport”.
Durante la fase acuta del dolore sono davvero fastidiosi quando dicono baggianate, ma sono ancora più intollerabili quando (accidenti a loro) hanno ragione.
Sul tema “aziende nella crisi” questi presunti amici pieni di soluzioni magiche popolano la stampa specializzata, le rubriche finanziarie dei quotidiani, i siti e i social degli addetti ai lavori.
A volte (non sempre) hanno ragione, nel senso che dicono cose giuste. Ma se le loro informazioni aggiungono confusione alla confusione, se non ti rigenerano, se non ti danno una visione incoraggiante e lungimirante, non ti aiutano affatto.
Effetto 2
Vedi lo spiraglio, perché salute significa che il corpo si riorganizza, è capace di guarire.
Per usare una parola abusata: essendo un sistema complesso diventa resiliente.
La differenza tra 1 e 2 non riguarda i contenuti della risposta ma il modo con cui si genera la tua domanda.
Se interpreti i tuoi problemi come complicazione da risolvere e non come complessità sfidante in cui “danzare”, lo stesso consiglio funzionerà male invece che bene.
Decidere di decidere
E ora vediamo insieme cosa fare.
Innanzitutto siamo d’accordo che un vero capitano si vede nella tempesta, vero? col venticello di primavera sono buoni tutti!
Ecco, però essere quel vero capitano non significa essere un superman: basta con questa ideologia che chiede ai capi di essere supereroi: nella Gotham City dei fumetti l’imprenditore mr. Bruce Wayne ogni tanto mette i panni di Batman e combatte i cattivi; qui nel mondo vero serve il contrario: puoi tranquillamente rinunciare a fare il supereroe ed essere il mr. Bruce Wayne della tua azienda.
Se vuoi gestire la complessità della crisi devi tornare umano.
Per due motivi
- la crisi non è un’ apocalisse cosmica:
è “solo” una crisi delle tue opportunità; - decidere in solitudine è stressante e pericoloso.
La crisi è una minaccia all’opportunità
Ad esempio se il fatturato scende il problema non è come rispondi adesso, ma che domande ti sei fatto qualche anno fa. Se il fatturato scende oggi hai un’utile informazione per cambiare qualcosa al modello di business e vedere il risultato alla lunga. Il fatturato basso è il termometro, non la malattia.
La stessa parola “crisi” è un condizionamento, che ti porta ad agire in modo emergenziale, significa “decidiamo subito il meno peggio ma sbrighiamoci”.
No, l’emergenza è controproducente: costa di più, rende di meno, genera molti effetti collaterali che si pagano caro.
Siamo nella Nazione dell’emergenza: stiamo decenni ad aspettare il cataclisma prima di decidere, senza pianificazione ambientale, sovrastrutturale, ambientale…
Non è solo la furberia della politica affaristica; è che, per dirla con Baricco (qui) noi coltiviamo in modo geniale un particolare tipo di intelligenza: quella capace di sofferenza, ostinata nel passo, paziente più che fantasiosa, sostanzialmente conservativa. Poiché le riesce più facile percepire il mondo quando il mondo procede a una velocità misurata, lo rallenta.
Forse in questo momento di febbre ti serve la tachipirina (un finanziamento, un aumento di capitale, un salvagente pubblico…) ma se non decidi di decidere, fra tre anni sarai di nuovo a cercare un altro salvagente.
Decidere in solitudine è pericoloso
Chi ha preso le decisioni di tre o quattro anni fa che hanno fatto scemare il fatturato? In quanti erano le persone che hanno deciso? Con che criteri?
Noi spessissimo incontriamo imprenditori, manager, CEO che si lamentano di essere soli a decidere!
Decidere da soli è sempre più un errore.
Non solo per lo stress (magari sto facendo una cavolata, come faccio a saperlo?).
Non solo perché tante menti ragionano meglio di una.
Anche e soprattutto perché da solo mi faccio sempre le stesse domande, vedo sempre gli stessi aspetti della questione. Per quanto io sia ispirato, saggio ed esperto, ho due rischi abbastanza probabili:
- ripetere gli errori
- non accorgersi quando si presentano opportunità o soluzioni diverse da quelle abituali e perfino (è un paradosso frequente) sentire fastidio quando si presentano.
Lavorare insieme sulle opportunità
Fare una dieta è faticoso ma dopo, quando ti senti più bello, più agile e leggero allora sei contento di averla fatta; se invece non vedi il risultato…
Un cliente ci ha detto “la crisi ha reso la mia azienda più figa”.
Ovviamente nel senso gergale di “più abile, astuta, che si fa ammirare per qualche sua particolare capacità, o anche elegante, di bella presenza” (abbiamo scomodato la Treccani per dirlo bene).
“La crisi ha reso la mia azienda più figa” è il contrario di quanto richiesto dalla dea della Sfiga.
Cambiano le cause esterne?
Non si risponde in modo automatico coi meccanismi di prima, no: si migliora il nostro stato interno (in questo senso si diventa “fighi”). Altrimenti ci si sentirebbe un po’ soli, sopraffatti dalla sorte e insomma sfigati: non sarebbe una vision molto trascinante.
Il coach (o comunque un soggetto esterno con delle domande chiave) favorisce questo cambio interno, questo “diventare fighi”. È faticoso ma anche divertente, emozionante. Gratificante.
Ad esempio da solo è molto difficile
- Capire cosa funziona bene e cosa va cambiato.
- Capire se quella persona è al posto giusto o no.
- Capire se ci sono idee di business parallele da sperimentare.
- Facilitare la presa di responsabilità delle nuove leve (nelle tante aziende familiari, anche del figlio del titolare).
- Dare senso a quegli indizi poco espliciti, intuitivi, frammentari che arrivano da ogni parte: dal design, dalla produzione, dal marketing, dai grossisti… tutte informazioni da decodificare insieme che possono essere potentissime per il rilancio. Se invece non si riescono a processare restano solo rumore (e frustrazione nel collaboratore che non è ascoltato). Questo è il tema della leadership relazionale e generativa.
Non puoi fare nessuna di queste cose se indossi gli stessi occhiali di prima: se cambia il mondo intorno a te e tu resti uguale. Conservando la mentalità precedente (logistica, gestionale, produttiva, comunicativa, gerarchica…) , non conservi le tue opportunità, anzi le sperperi.
Farcela da soli è difficilissimo perché il 90% di quello che sappiamo, non sappiamo di saperlo. Se qualche domanda specifica non ci fa cercare nella profondità della mente, ci usciranno solo quel 10% di idee, spunti, criteri, e tuttavia la nostra capacità di ascolto sarà bassa perché avremo il buffer già pieno.
Ecco a cosa servono coach, mentor, allenatori, affiancatori e tutte quelle professioni che fanno emergere le qualità e le idee dalle persone e dai gruppi.
Sembra un paradosso: ognuno ha bisogno di qualcun altro per essere se stesso.
postilla per le imprese familiari
Ciao, sono il figlio del padrone e vado in America
Per molte aziende a origine familiare (non è un caso) la gestione della crisi coincide con quella del passaggio generazionale.
Molti sono i titolari che ci parlano del figlio poco motivato a prendere le redini dell’azienda:
lui non ha la passione che avevo io, preferisce entrare in un’azienda grande, vuole andare in America, vuole aprire un nuovo ramo d’impresa…
Se qualcuno vuole una consulenza specifica ne parliamo meglio, basta contattarci (ormai ci siamo fatti una discreta esperienza).
Ogni caso è diverso e qui parliamo in generale; ci sono tre cose da dire (forse ovvie ma meglio ripeterle):
1. Il genitore non è un coach e il coach non è un genitore, specialmente in questo momento storico. Ruoli diversi, spesso opposti.
La famiglia è una grande istituzione ma ha i suoi difetti, tra i quali due sono moltiplicatori di crisi: è autoreferenziale e i ruoli sono codificati.
Un figlio (o una figlia) può dire a noi cose che a un genitore non si dicono; nella condizione “fuori dal nido” di un coaching o di un mentoring viene più naturale pensare in modo razionale e lungimirante, invece in famiglia sono più importanti (nel bene e nel male) gli affetti, l’”adesso” e un’idea del futuro molto astratta.
2. La vocazione non è ereditaria, se lui vuole fare un altro mestiere non è utile per nessuno cercare di convincerlo. Meglio trovare dei vertici non familiari affidabili: spesso per mettere a fuoco il “destino” di un’azienda è meglio un estraneo (con rapporti non-familiari). Poi non sarebbe la prima volta che, dopo vent’anni, entrano in gioco i nipoti: il salto bi-generazionale è interessante e spesso efficace.
3. Se invece lui ci sta ed è in gamba, essendo giovane capisce con criteri giovani. Probabilmente è quello che desideri, ma naturalmente non è detto che faccia quello che ti aspetti.
Se sarà così abituatevi a parlarne (ragionare aiuta sempre la lucidità reciproca), non mettergli il bastone fra le ruote e fidati. Quindi evita di far fermentare nella tua testa delle aspettative negative: potrebbero essere previsioni che si auto-avverano e la Sfiga ci sente benissimo.