L’approccio maieutico
Ascoltare la pancia dell’azienda.
Per rigenerarsi occorre ascoltare se stessi;
vale anche per le aziende.
Vuoi saperne di più su una certa azienda?
Chiedi a una centralinista.
a un tecnico dell’assistenza, a un impiegato
dell’ufficio acquisti: sa più cose del CEO.
L’idea comune è che i boss esercitino le scelte perché hanno una mappa e sanno esattamente dove andare, mentre chi sta sotto è perso nel labirinto e deve essere guidato. È l’idea del capo militare che conduce gli eserciti, sapete già che è roba vecchia.
Funzionava (si dice) ai tempi del nonno imprenditore che si è fatto da sé.
Ma quante scenette tragicomiche si narrano nelle imprese dove quel nonno ha girato troppo a lungo per gli uffici a dare “ordini” ai “sottoposti” (povero nonno, e poveri anche i sottoposti).
Tu lo sai già da trent’anni, così non si può guidare un’impresa di grande o media complessità.
E nemmeno una piccola, tipo il vostro elettrauto: può darsi che l’apprendista sappia meglio del titolare come sincronizzare un navigatore con Android: riceve i complimenti ma nondimeno resta apprendista; che però apprende meglio perché la sua funzione è valorizzata e partecipa più volentieri al sistema. L’organismo-officina diventa un pochino più competente: si lavora un pochino meglio, i clienti sono un pochino più soddisfatti e il lunedì mattina quando suona la sveglia tutti quanti odiano il mondo un pochino di meno.
Quel pochino costante e progressivo è meglio di un molto provvisorio e incostante: un processo graduale è più solido perché si rigenera e si autocorregge. Noi diciamo che è generativo.
Però occorre accorgersene, spesso chi sta sopra è distratto, “ho cose più urgenti cui pensare”.
La tua organizzazione sa molte cose;
tu che ne fai parte, no: le devi imparare.
Si narra, chissà se è vero, che nel 2008 i capi della Nokia facessero scenate terribili ai dipendenti che “avevano un iPhone in tasca”, come se fossero dei traditori.
Se avessero chiesto un anno prima ai loro hardwaristi, ingegneri e marketer perché stavano comprando quello che sembrava un costoso giocattolo (criteri, scelte, immagine, prestigio, prestazioni…) avrebbero patito un enorme stress organizzativo, ma oggi forse Nokia sarebbe ancora tra i leader della telefonia cellulare.
L’organizzazione-Nokia sapeva già le informazioni che il vertice-Nokia non recepiva.
Qualche volta conviene essere nel labirinto, perché la mappa nasconde i dettagli più importanti per scegliere, te ne accorgi solo quando ci vai a sbattere.
Una mappa senza quei dettagli non è utile per orientarsi.
Ma è inutile anche una mappa piena di infiniti dettagli di cui forse uno è importantissimo, ma chissà quale.
Non c’è sentiero
Il sentiero si fa camminando, scriveva Machado, e lo sanno bene imprenditori, AD, manager, executive, direttori.
A cui però gli altri chiedono la mappa, la rotta: O capo, indica la strada a noi gregari! e se oggi non si usa più cavalcare in testa al reggimento con la sciabola sguainata, almeno mostraci un bel power point con tante parole in corporatese che ci riveli le istruzioni dall’alto. Così noi potremo lamentarci alla macchinetta del caffé e se l’azienda andrà a sbattere sarà colpa tua.
Non è più così che funziona la leadership e tu lo sai già da un pezzo. Lo sai inconsciamente, lo sai anche consciamente, perché lo hai letto sui libri e sentito ai convegni.
Ora si tratta di saperlo dire.
Ancora dovrai alzare l’indice e mostrare una soluzione, ma finalmente la soluzione non è una meta ma un metodo: siete tutti ingaggiati, siamo responsabili insieme.
Infatti nei sistemi complessi la mappa non esiste, e se esistesse non sarebbe certo una cartina a due dimensioni; e neanche tre: sarebbe n-dimensionale, inconcepibile per la mente umana. Pura astrazione o, probabilmente, puro mal di testa.
Il manager generativo nell’azienda-organismo.
Tra l’altro se quello che serve sono strade nuove e inedite, non è detto che affidarsi a un navigatore (che conosce le strade già tracciate) sia il modo più furbo.
Il mondo complesso è ricchissimo di nuovi territori tutti da scoprire, peccato che poche PMI ci vogliano andare, la crisi ci ha messo paura, altro che mappe complesse: più siamo fragili meno siamo coraggiosi (ne parliamo meglio qui).
Il digitale, l’ecologia, il mercato microsegmentato, l’online… sembrano come quelle mappe medioevali: hic sunt leones, qui ci sono solo leoni, state alla larga.
L’approccio generativo al management considera l’azienda come un organismo complesso (contrariamente all’azienda-ingranaggio del secolo scorso).
Un animale, una pianta nei diversi habitat modifica metabolismo, consociazioni e stile di vita e sopravvive se mantiene la propria identità e continua a riprodursi.
Allo stesso modo un’impresa in questi anni può adattarsi bene allo stress dei cambiamenti e generare nuove opportunità, ma ci può riuscire solo migliorando la sua organizzazione interna senza perdere la propria identità e restando in grado essere – appunto – generativa.
La buona educazione del condottiero
Quindi più che condurre (cum-ducere) occorre ex-ducere, portar fuori quello che è dentro.
La parola italiana sarebbe educare, ma ormai siamo tutti maggiorenni, più che imparare nuove cose dobbiamo organizzare tutto quello che abbiamo già imparato.
Allora capiamo bene le parole: educare (ex-ducere) va bene per noi adulti, e non solo nelle posizioni apicali dell’azienda.
Non è sinonimo di istruire, se mai è il suo contrario: in-struĕre significa immettere qualcosa di intrusivo, cacciar dentro degli input.
Il leader è generativo se genera output.
Ecco la differenza tra un coach (che porta fuori quello che hai dentro) e un formatore (che ti porta dentro nuove cognizioni esterne). Anche se i due mestieri spesso si sovrappongono, cambia la filosofia.
Ovvio che chi sta in una posizione apicale continua tutta la vita a formarsi (quindi impara, si addestra, apprende,… assimila e rinforza input) ma qui stiamo parlando della sua capacità di tirare fuori quello che ha dentro: tutti gli input di una vita di esperienza che nella mente trovano forma.
La parola chiave è maieutica
Il problema è che se non c’è un’altra persona che ti fa certe domande, la tua mente funziona come un cassetto troppo pieno: lo apri e attingi solo a quel 10% di oggetti che sono visibili, il resto è nascosto dietro.
Quel 10% sono le risposte abituali, quelle ormai automatiche, quelle che hanno funzionato nel mondo di prima: quasi sempre sono quelle sbagliate, eppure si ripetono.
Dai tempi di Socrate e Platone per cercare la verità occorre sollecitare il soggetto pensante a ritrovarla in sé stesso e a tirarla fuori “dalla propria anima”.
La parola maieutica viene dalla parola greca per ostetrica: la verità ce l’hai dentro, Socrate (o qualche altro coach) ti aiuta a partorirla.
Lo stesso problema ce l’hai tu verso gli altri
Ci sono atteggiamenti e mentalità che i manager e gli imprenditori non possono inculcare dall’esterno, ma possono far sgorgare dall’essenza nelle persone, valorizzandole:
- la fiducia reciproca e l’affiatamento dei collaboratori
- l’engagement, la lealtà e la responsabilità
- la creatività dal basso per ipotizzare e testare innovazioni di processo
Che si debba fare così, ormai, lo sappiamo tutti (o quasi, ma questo è un altro problema): la questione è come fare. Puoi leggere tanti libri e fare corsi sul management, ma serve che qualcuno venga lì in azienda e ne parli con te, che ti supporti nel tuo coraggio di cambiare.
È il mestiere dei coach, e in particolare di noi di formazione generativista: per non fare gli errori che fanno in tanti, per partire col piede giusto.
La fiducia è un sentimento reciproco
Non è un attributo che si dà a qualcuno (quella è una pubblicità da stracchini), la fiducia è una relazione: io non mi fido di te se tu non ti fidi di me.
Se io considero il mio universo aziendale come un pozzo di risorse dinamiche e non come un gregge da mettere in riga, il sistema-azienda non si comporterà con l’obbedienza annoiata di un branco di pecore. Sarà realmente una fonte di stimoli, spunti e motivazioni.
Lavorare sarà più divertente, il sistema sarà più elastico.
E più preservato: farà anche emergere avvertimenti precoci, qualche lucina rossa che segnala un guaio quando è ancora piccolo, cosa antipatica eppure preziosissima.
La fiducia serve anche a questo: non ti segnalo una notizia antipatica se io non ho fiducia nella tua fiducia in me.
La rigidità del controllo invece non difende affatto dai pericoli e dalle insidie impreviste, si confonde duro con forte, credi di essere d’acciaio e sei di vetro.
Mi fido se sono certo che mi consideri una persona davvero utile, di cui vuoi incoraggiare la manifestazione, e non un vaso da riempire di istruzioni per eseguire una sfilza di task.
Il buon gusto del potere
Qualcuno ha nostalgia della vecchia idea imperiale del comando? Rimpiange il piacere di avere persone annichilite che tremano al suo cospetto? È una mentalità che annulla il contributo di chi sta sotto: oggi ci sono i robot, i motori, i computer e non ci servono schiavi.
L’idea di potere che dà piacere perché annichilisci gli altri è patologica, anche se ci ha accompagnato per secoli.
Molto diversa è la bella sensazione che senti quando quello che fai, funziona. È l’empowerment, la percezione che con la tua azione stai plasmando il mondo.
Non annichilisci nessuno, anzi, sei come un regista che riesce a mettere in risalto le qualità e i talenti di ciascuno.
È un altro tipo di potenza più densa, radicale, pervasiva e sicuramente più potente.
La potenza generativa si manifesta con le tante proposte di cui si parla in questo sito: con le azioni messe in agenda, con le occasioni per rendere compatta ciascuna squadra, con le interazioni facilitate, con workshop per imparare dagli errori e per individuare le criticità di processo.
Eccola, è questa la leadership che ci serve.
Immagine di copertina: ““Aerial view of Excelsior Geyser and Grand Prismatic Spring” di YellowstoneNPS è contrassegnato con Marchio di pubblico dominio 1.0.